Ama i tuoi limiti
Ogni individuo, ogni pianta, ogni animale, ha solo uno scopo…realizzarsi per quel che è.
Una rosa, è una rosa. La rosa non ha nessuna intenzione di realizzarsi come canguro.
F. Perls
Foto: Kumiko Shimizu
Una cosa davvero difficile per ognuno di noi è ammettere di avere dei limiti.
Questa parola ci rimanda ad un confine che blocca un percorso verso una meta: il limite ci impedisce di andare oltre a dove siamo ora.
Attraverso l’esperienza impariamo a conoscere chi siamo e cosa possiamo fare: il gap tra ciò che “vorrei” e ciò che “sono” può essere piuttosto ampio e generare frustrazione. Sentire che il nostro agire è costretto genera un conflitto e un vissuto di sofferenza.
Ma saggiare i nostri limiti è assolutamente utile e sano: essi ci parlano di noi, ci insegnano chi siamo nella realtà.
Così come i limiti fisici che sperimentiamo da piccoli ci rivelano dove “finiamo” noi e inizia l’Altro, dandoci un confine che ci permette di identificarci con un corpo reale e non solo immaginato, i limiti “altri” ci riportano in contatto con chi siamo realmente, staccandoci, a volte in modo traumatico, da una falsa percezione mentale e immaginaria. Avvicinandoci via via a una percezione di noi stessi più “reale” abbiamo la possibilità di ridimensionare i nostri progetti e di scoprire e cimentarsi con mete che fanno parte di noi in modo più realistico.
Un percorso di cura non fa certo eccezione e il terapeuta, ancor più della vita stessa, ci propone e ripropone questi limiti al fine di integrarli e includerli nel quadro della nostra vita.
È molto difficile ammettere ciò che assieme al terapeuta abbiamo visto, tanto siamo abituati a schivare, evitare e dissimulare i nostri “limiti”: sia perché li neghiamo, oppure perché ce ne vergogniamo, tendiamo a nasconderli sotto il tappeto.
Ma perché ci risulta così arduo ammettere i nostri limiti? I motivi possono essere diversi…il costante confronto con gli altri che ci porta a voler essere diversi da ciò che siamo, il bisogno di dimostrare qualcosa a qualcuno allontanandoci da ciò che effettivamente vogliamo, pensare che debellare i propri limiti arrivando ad un’utopica perfezione sia la fonte della felicità, ecc.
“…se solo potessimo imparare a sfuggire ciò che è doloroso, allora sì che saremmo felici!
È questo l’incolpevole, ingenuo equivoco che tutti noi condividiamo e che perpetua la nostra infelicità”
Pema Chondron
In questa stessa logica il cambiamento viene spesso concepito come una guerra, una battaglia per debellare quella parte “negativa” di noi, combattere l’ansia, sconfiggere quella particolare caratteristica del proprio carattere che non ci piace…
Siamo abituati a seguire la via della “lotta”, dell’andare “contro” al presunto nemico, quella parte meno apprezzata di noi stessi, sia essa un limite emotivo o una corazza fisica.
Perseguiamo una errata direzione, conseguenza di una altrettanto errata visione del mondo in cui tutto è bianco, tutto è “bello”, tutto è felice, dimenticandoci di osservare la realtà delle cose, realtà interna ed esterna, ovvero la compresenza inevitabile di bianco e nero.
Solo com-prendendo ciò, arrendendosi alla dualità della vita possiamo perdonare le nostre zone di ombra per trascenderle e includerle all’interno del quadro della nostra vita.
Dobbiamo accettare di non essere perfetti, di non potere fare tutto: imparare a conoscere le vie giuste per noi, quelle che ci rendono felici, le strade che abbiamo iniziato a seguire partendo da una reale consapevolezza di noi stessi e delle motivazioni che ci muovono, una via che ci appartenga davvero e che possiamo percorrere con fiducia per la piena realizzazione di noi stessi.
È estremamente terapeutico imparare a stare in contatto anche con ciò che non ci piace, con ciò che non ci fa stare bene: restare invece che scappare di fronte ad un dolore fisico o psichico, addentrandoci in ciò che realmente siamo.
Accettare la nostra imperfezione è il primo passo per trascenderla ed includerla in una composizione di noi più articolata che ci consentirà di costruire una buona autostima: con sguardo trasparente ammettere la realtà e assumersi la responsabilità di ciò che siamo.
Cosa accadrebbe se capissi che il cambiamento che desideri per te diviene possibile solo se prima ti vedi con coraggio e ti accetti in modo incondizionato così come sei?
Praticare l’accettazione non è cosa facile, anche perché bisogna che l’accettazione sia reale e totale…non basta che io mi convinca razionalmente di accettarmi se poi alla prima occasione in cui mi confronto con un mio limite mi arrabbio con esso…
Una tecnica che ci può venire in aiuto è la meditazione: attraverso la pratica possiamo avvicinarci a noi stessi in modo genuino ed apprendere ad accoglierci in modo gentile e non giudicante.
È una pratica di accettazione in cui l’oggetto della meditazione sono io, nel qui ed ora, nella mia imperfetta totalità che attraverso la pratica meditativa posso esplorare con rispetto e amorevole compassione.
Pema Chodron, monaca buddhista, scrive a tal proposito: “nutrire gentilezza amorevole, MAITRI, verso se stessi (…) significa che dopo tutti questi anni, possiamo ancora essere arrabbiati, timidi, gelosi (…),il punto non è sforarsi di cambiare se stessi.
La pratica della meditazione (…) vuol dire fare amicizia con la persona che già si è”.
Se avete piacere di sperimentare la meditazione
qui trovate due meditazioni gratuite a vostra disposizione: